Infarto miocardico
Aggiornamento in Medicina
L’intervento coronarico percutaneo ( PCI ) primario ha dimostrato essere , ad oggi , la più efficace terapia di riperfusione nell’infarto miocardico acuto (IMA).
Lo studio PRAGUE-2 ha valutato la fattibilità del trasporto dei pazienti con IMA a Centri specializzati per l’intervento coronarico percutaneo.
Un totale di 850 pazienti con un infarto miocardico acuto e sopraslivellamento ST , ad insorgenza entro 12 ore , è stato randomizzato alla trombolisi presso il più vicino ospedale privo di laboratorio di cateterizzazione ( gruppo trombolisi: n=421 ) o all’immediato trasporto in un ospedale attrezzato per l’intervento coronarico percutaneo ( gruppo PCI: n=429 ).
L’end point primario era rappresentato dalla mortalità a 30 giorni.
L’end point secondario consisteva invece in : mortalità / infarto / ictus a 30 giorni ( end point combinato ) e mortalità a 30 giorni tra i pazienti trattati entro 0-3 ore e 3-12 ore dall’inizio dei sintomi.
La distanza massima di trasporto è stata di 120 km.
All’analisi intention-to-treat la mortalità a 30 giorni è risultata essere del 10% nel gruppo sottoposto a trombolisi rispetto al 6,8% del gruppo PCI ( p=0.12 ).
Tra i 299 pazienti randomizzati dopo 3 ore dall’inizio dei sintomi, la mortalità nel gruppo trattato con trombolisi è stata del 15,3% rispetto al 6% dei pazienti sottoposti a PCI ( p Nessuna differenza nella mortalità è stata invece riscontrata nei pazienti ( n=551) randomizzati entro 3 ore ( mortalità nel gruppo trombolisi: 7,4% versus mortalità nel gruppo PCI: 7,3% ).
Lo studio PRAGUE-2 ha dimostrato che il trasporto dei pazienti con infarto miocardico acuto ad un Centro specializzato per l’intervento coronarico percutaneo è sicuro.
Il PCI rappresenta la migliore strategia riperfusionale nei pazienti con infarto miocardico acuto ed insorgenza dei sintomi da più di 3 ore.
Nei pazienti con IMA ed insorgenza dei sintomi entro 3 ore, le due strategie, la trombolisi e il PCI , risultano similari. ( Xagena2003 )
Widimsky P et al, Eur Heart J 2003 ; 24 :94-104
Cardio2003