Infarto miocardico
Aggiornamento in Medicina
Sebbene gli antagonisti dei mineralcorticoidi ( MRA ) riducano la mortalità nei pazienti con insufficienza cardiaca che complica l'infarto del miocardio, non è chiaro se possano essere utili a tutti i pazienti con infarto miocardico.
Per valutare l'utilità degli antagonisti dei mineralcorticoidi nei pazienti con infarto miocardico, è stata eseguita una revisione sistematica e una meta-analisi.
Sono stati inclusi 11 studi randomizzati che hanno valutato l'effetto degli antagonisti dei mineralcorticoidi dopo infarto miocardico con 11.258 pazienti totali; uno studio ( n=6.642 ) ha incluso pazienti con insufficienza cardiaca evidente ( classe di Killip III-IV ).
La somministrazione degli antagonisti dei mineralcorticoidi, rispetto a placebo o terapia standard ( no-MRA ), dopo infarto miocardico ha ridotto la mortalità complessiva e cardiovascolare ( odds ratio, OR=0.82; P=0.002 e OR=0.82; P=0.003, rispettivamente; I2 per entrambi=0% ).
Nel sottogruppo di studi con pazienti con insufficienza cardiaca, la mortalità è stata del 14.4% nel gruppo antagonisti dei mineralcorticoidi rispetto al 16.7% nel gruppo no-MRA ( OR=0.84 ), e tra quelli senza insufficienza cardiaca è stata del 2.5% con antagonisti dei mineralcorticoidi, rispetto al 3.5% senza MRA ( OR=0.72; P per interazione=0.43 ).
I pazienti che hanno ricevuto gli antagonisti dei mineralcorticoidi hanno avuto meno eventi di insufficienza cardiaca nuovi o in peggioramento ( OR=0.74; P minore di 0.0001; I2=14% ).
Tuttavia, la terapia con antagonisti dei mineralcorticoidi ha aumentato il rischio di iperkaliemia ( maggiore o uguale a 5.5 mmol/l ) ( OR=2.52; P=0.003; I2=63% ).
In conclusione, la somministrazione degli antagonisti dei mineralcorticoidi può ridurre la mortalità dopo infarto miocardico acuto.
Tuttavia, questo dato è in gran parte basato su pazienti post-infarto con insufficienza cardiaca.
Sono necessari ulteriori dati nei pazienti con infarto miocardico senza insufficienza cardiaca. ( Xagena2018 )
Bossard M et al, Am Heart J 2018; 195: 60-69
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